Come già ricordava il Card. Tettamanzi, «le scelte che oggi stiamo maturando non sono [quindi] una ritirata strategica a fronte delle difficoltà e del :venir meno delle forze, né un qualche ingegnoso artificio istituzionale per mantenere le posizioni», ma sono generate dall ' ascolto docile dello Spirito, nello sforzo di leggere i segni dei tempi, connotati anche da condizioni problematiche e di sofferenza, al fine di promuovere un rinnovato slancio evangelizzatore.
La sfida assunta con la decisione di costituire le Comunità pastorali, ma valida per tutte le parrocchie (non essendo previsto che tutte debbano necessariamente entrare a far parte di una Comunità pastorale), è quella di intrecciare in una sintesi nuova e convincente alcuni fattori, che tra loro si integrano e si richiamano:
- un rinnovato e autentico slancio missionario, in un mondo che cambia, che non sarà garantito semplicemente dall'assunzione della forma organizzativa prevista (che inevitabilmente finisce anche con l'assorbire molte energie), ma dalla capacità che avranno le comunità cristiane di assumere come prioritaria questa sfida, sapendo ripensare in modo significativo le attività svolte dalle singole parrocchie quando vengono ad assumere la prospettiva della Comunità pastorale;
- una proposta dell 'annuncio evangelico che sappia interpretare il modo in cui gli uomini e le donne di oggi vivono il rapporto con il territorio, prestando attenzione non solo alla dimensione territoriale geografica ma anche alla realtà del territorio esistenziale;
- una pastorale d'insieme che investa in maniera adeguata e articolata tutti i diversi livelli della cura pastorale (zonale, decanale, cittadino, per aree omogenee, ecc.); - una crescita armonica e promettente di nuove ministerialità, viste non come supplenza alla carenza di sacerdoti, ma anzitutto come possibilità di sviluppare attenzioni pastorali nuove e come stimolo per l' incremento di una ministerialità articolata e diffusa;
- una figura di presbitero più missionaria, più libera da schemi tradizionali di esercizio del ministero e più disponibile a una pastorale d' insieme; - un presbiterio più fraterno, con forme concrete di vita condivisa, all ' interno di una più intensa comunione con coloro che in diversa misura hanno il carico della cura pastorale di una comunità e vi partecipano con il loro specifico contributo.
Oltre che una sfida, il collegamento vicendevole tra questi fattori è in realt~ l'unica possibilità per una loro realizzazione: «non può esserci, ad esempio, un rinnovato sforzo missionario con una figura di presbitero modellata su schemi tradizionali e, a sua volta, non può sostenersi un'immagine di presbitero più missionaria - e quindi meno identificabile in determinati ruoli conosciuti e consolidati e meno legata dal riferimento anche "affettivo" a una comunità
- senza l'aiuto di un contesto autenticamente fraterno e comunionale. O ancora, non può realizzarsi una pastorale d' insieme che voglia farsi carico di tutti gli aspetti della vita ecclesiale senza la presenza di figure ministeriali nuove e specifiche capaci di lavorare in sintonia per un progetto comune».
La Comunità pastorale si presenta così come una comunità di comunità che cerca e favorisce la prossimità a tutti, anche attraverso la responsabilizzazione e la fonnazione dei laici, affinché siano costruttori di legami, pur operando in territorio più ampio. Queste intuizioni sono state confennate e ulterionnente sviluppate nel corso del sinodo minore Chiesa dalle genti: «sono emersi tratti in fieri della Chiesa dalle genti dai quali la diocesi ha da imp
arare.
Ciò comporta rendere stabile nelle nostre comunità un atteggiamento costante di conversione pastorale. La Chiesa dalle genti è una Chiesa dove non basta fare per, ma dove diviene essenziale apprendere a fare con».