UNA VIOLENZA CHE SI PUÒ COMBATTEREIl muro della violenza maschile contro le donne presenta sempre più crepe.
Se tre decenni fa – quando a Milano Cadmi e Caritas Ambrosiana aprivano i primi centri di aiuto in Italia – le donne che si rivolgevano ai servizi avevano 40-50 anni, adesso gran parte di esse ne ha tra 18 e 35: sono più informate e consapevoli degli abusi subiti, e trovano il coraggio di denunciare, o di chiedere un supporto, prima che sia troppo tardi.
Prima, cioè, che la violenza entri in quelle statistiche sui femminicidi che nel Paese calano ancora troppo lentamente (dal 1° gennaio al 1° ottobre 2023 sono state uccise 90 donne, di cui 75 in ambito familiare o affettivo; nello stesso periodo del 2022 il totale era di 85 vittime).
Se una volta le donne attendevano che i figli diventassero grandi prima di ribellarsi, ora reagiscono prima, riconoscono quell’amore malato e chiedono aiuto.
In vista del 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, il Segno dedica la copertina ai segnali di speranza che le operatrici dei centri antiviolenza (Cav) cominciano a percepire.
Una tendenza tutta da confermare, ma che l’attività crescente della rete di 431 case rifugio e 373 Cav (34.500 telefonate ricevute nel 2021) in Italia sembra incoraggiare.
La violenza contro le donne è come un iceberg: quello che salta all’occhio è la violenza estrema, l’omicidio, spesso premeditato e non certo un gesto inconsulto o un raptus, come spesso si legge; sotto quel gesto estremo si nasconde una piramide di violenze subite.
Non c’è solo la violenza fisica, c’è anche quella psicologica, finanziaria, come pure il revenge porn, lo stalking.
Quello che fa il maltrattante è denigrare, svalutare, intimorire, minacciare, isolare, ledere l’identità della sua vittima.
Un annullamento che annulla l’autostima della donna, illudendola di meritarsi tutto ciò che subisce.
C’è poi la violenza assistita, che riguarda i minori, figli delle donne che subiscono maltrattamenti e che spesso assistono involontariamente.
Questi piccoli testimoni restano segnati da quanto hanno visto e ascoltato, e i traumi che subiscono possono rimanere anche tutta la vita.
Dopo il gesto estremo a occuparsi dei bambini, sono le zie o le nonne materne oppure altri famigliari e, in ultima istanza, una comunità di accoglienza. In Italia gli orfani sono 2.000, di cui 200 solo in Lombardia.
(dal “Segno” di novembre)